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giovedì 21 gennaio 2010

«Manuel, in 12 giorni non sono riusciti a salvarlo»

«Manuel, in 12 giorni
non sono riusciti a salvarlo»

I genitori denunciano i medici del Villa San Pietro. «Si aggravava e non c'era nessuno»

Una foto di Manuel con la mamma
Una foto di Manuel con la mamma
ROMA - Tutte le mattine, al momento dell’appello, i suoi compagni di classe si alzano in piedi e, quando arriva il suo nome, rispondono: «Presente!». Ma Manuel Tartavini non c’è più. É morto il primo novembre scorso all’ospedale Villa San Pietro e non aveva ancora 11 anni. La sua morte ha spezzato anche le vite dei suoi genitori, Maurizio e Raffaella. «Ci hanno tagliato le radici», dice la mamma che adesso ogni giorno va al cimitero di Prima Porta e si ferma almeno tre ore «per stare vicino a lui, per stare ancora un po’ insieme noi due». «Ci hanno tolto la voglia di alzarci ogni mattina», aggiunge rabbioso il papà Maurizio, che da quel giorno non ha più trovato la forza di entrare nella stanza del figlio e si ferma sulla soglia a indicare i giochi e i vestiti.

IL CORAGGIO DI RACCONTARE - «Era un torello - sospira nonna Gianna - eppure l’hanno fatto morire». La famiglia, sconvolta, dopo due mesi passati a elaborare il lutto ha deciso ora di uscire allo scoperto. Mamma Raffaella ieri ha inviato una lettera al "Corriere" per raccontare quei 12 giorni fatali, dal ricovero al decesso. La donna pretende giustizia. Pretende soprattutto la verità. Il 4 novembre scorso, il giorno dei funerali, papà Maurizio assistito dall’avvocato Davide Verri presentò subito un esposto-denuncia al commissariato di piazzale Clodio: «Quando raccontai quello che era successo in ospedale a mio figlio, si misero a piangere perfino i poliziotti», ricorda. Il pm Paolo D’Ovidio della Procura di Roma ha aperto un’inchiesta. Il fascicolo, al momento, è «contro ignoti» e ipotizza il reato di omicidio colposo. Ma tra pochi giorni verrà depositata la perizia dei suoi consulenti e allora, forse, si potrà sapere davvero perchè è morto Manuel.

I genitori disperati
I genitori disperati
IL PONTE DEL PRIMO NOVEMBRE - «Ce l’hanno ucciso, ce l’hanno ammazzato», grida e piange il papà. «É morto di domenica e nel reparto non c’era nessuno, neanche un pediatra, solo due internisti e un’infermiera che sono entrati nel panico e non l’hanno saputo salvare - accusano i genitori - É morto perchè c’era di mezzo il ponte del primo novembre...». La rabbia è tanta e anche i medici del Villa San Pietro ne sono consapevoli. Una pediatra che accetta di parlare con la garanzia dell’anonimato dice, però, che «la morte purtroppo fu improvvisa», ma quando Manuel ebbe l’ultima crisi «accanto a lui c’erano due anestesisti e due pediatri e lo stesso primario Finocchi arrivò in ospedale di corsa...». Insomma, non è vero secondo lei che il reparto fosse sguarnito a causa del weekend. La conclusione della dottoressa è triste e brutale allo stesso tempo: «Purtroppo abbiamo fatto di tutto per curarlo e non ci siamo riusciti. E non sappiamo ancora di che è morto. Ma vi assicuro che quel bambino venne trattato con i guanti bianchi dall’inizio alla fine».

MAI AVUTO UNA MALATTIA - Ma i genitori di Manuel, il loro unico figlio, vogliono vederci chiaro: «Era entrato con un principio di pleurite e di polmonite, non è possibile che sia morto. Era un ragazzino sanissimo, guardate le sue foto, non aveva mai avuto una malattia, mai visto un ago. Perciò, com’è stato possibile? Se almeno fosse stata l’H1N1 ci saremmo rassegnati. Avremmo pensato a un disegno divino, all’imponderabile. Ma poi le analisi hanno escluso che si trattasse di influenza A. E allora?». Le ultime parole cadono nel vuoto. Anche la maestra di Manuel, Daniela Gizzi, della scuola «Largo Castelserio» di Labaro non sa darsi una spiegazione. E così pure Claudio, l’allenatore della squadra di calcio «Saxa Flaminia» in cui militava il bimbo morto, da quel giorno è rimasto senza parole. Ora, a consolare nonna Gianna, ci provano senza successo le cugine di Manuel, Angelica e Francesca, mentre il cagnolino Lulù fa le feste a chiunque entri in casa, microbo ignaro dell’immenso dolore che lo circonda.

Fabrizio Caccia
19 gennaio 2010

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